QUEL TRENO PERSO
C'è
sempre una preparazione, un qualcosa che preannuncia la visita di Maria santissima
in forma visibile su questa terra. Anche se questa preparazione non viene percepita
tutte le volte immediatamente, la si riscontra poi con l'andare del tempo. Non
sempre è un angelo, come avvenne a Fatima; molto spesso si tratta di
avvenimenti, grandi o piccoli. E’ sempre un qualcosa che, come un aratro,
smuove il terreno. Pensiamo che un qualcosa del genere sia avvenuto anche a
Roma, prima che la Madonna si presentasse ai bambini e poi allo stesso Bruno
Cornacchiola, alle Tre Fontane. Niente di sensazionale, ma nei disegni divini
il sensazionale e il normale hanno lo stesso valore. Anzi, la preferenza va
a ciò che si innesta meglio sull'ordinarietà, perché l'opera
di Dio non è ingigantita o sminuita dall'entità delle circostanze.
Ecco una di queste circostanze. Roma, 17 marzo 1947. Poco dopo le 14, padre
Bonaventura Mariani dei frati minori viene chiamato dalla portineria del Collegio
S. Antonio in via Merulana 124. C'è una signora che con tono concitato
lo sollecita a recarsi nel suo appartamento di via Merulana, perché dice
che «c’è il diavolo», più concretamente, ci
sono alcuni protestanti che lo stanno aspettando. Il frate scende e la signora
Linda Mancini gli spiega che era riuscita a organizzare un dibattito con loro
sulla religione. Infatti quelli da un po' di tempo stavano svolgendo una intensa
propaganda nel suo palazzo, specialmente ad opera di uno di essi, un certo Bruno
Cornacchiola, ottenendo la conversione di alcuni coinquilini che avevano già
deciso di non fare battezzare i loro bambini. Amareggiata per quanto stava accadendo
e non riuscendo a tenere testa alle loro argomentazioni, la signora Mancini
si era rivolta ai francescani del Collegio S. Antonio. «Venga subito»,
scongiurava la donna, «altrimenti i protestanti diranno che voi avete
paura di battervi con loro...» Per la verità, la cosa non era stata
combinata all'ultimo minuto. Era già stato preavvisato un altro francescano,
che però all'ultimo momento, per ragioni personali, aveva declinato l'invito
e aveva suggerito di rivolgersi a padre Bonaventura. Naturalmente questi obietta
che, preso così alla sprovvista, non si sente preparato per quel dibattito
e, per di più, è stanco per le lezioni tenute in mattinata alla
Facoltà di Propaganda Fide. Ma di fronte alle accorate insistenze della
signora, si rassegna ad accettare l'invito. Giunto nella stanza del dibattito,
padre Bonaventura si trova di fronte a un pastore protestante della setta degli
«Avventisti del settimo giorno», circondato da un gruppetto della
stessa religione, fra cui Bruno Cornacchiola. Dopo una preghiera silenziosa,
comincia il dibattito. Si sa che, di solito, questi incontri diventano subito
«scontri» e si esauriscono in uno scambio di accuse e controaccuse,
senza che una parte riesca a convincere l’altra, datro che ognuno parte
dall’assoluta certezza di trovarsi nel giusto. Cornacchiola si distingue
subito per interventi aggressivi, basati più sugli insulti che sulle
argomentazioni, come questo: «Voi siete artisti ed astuti; studiate
per ingannare gli ignoranti, ma con noi che conosciamo la Parola di Dio non
potete fare nulla. Avete inventato tante stupide idolatrie e interpretate la
Bibbia a modo vostro!». E direttamente al frate: «Caro
furbacchione, sei svelto a trovare le scappatoie!...». E così
il dibattito si protrae per quasi quattro ore, finché viene deciso che
è tempo di separarsi. Mentre tutti si alzano per andarsene, le signore
presenti al dibattito dicono a Cornacchiola: «Tu non sei tranquillo!
Si vede dallo sguardo». E lui di rimando: «Sì invece:
io sono felice da quando ho abbandonato la Chiesa cattolica!». Ma
le signore insistono: «Rivolgiti alla Madonna. Lei ti salverà!
», e gli mostrano il rosario. «Questo ti salverà! Ed ecco
che ventun giorni dopo Cornacchiola sta sì pensando alla Madonna, ma
non tanto per «rivolgersi a lei», quanto per combatterla e cercare
di sminuirla il più possibile, cercando addirittura nella stessa Bibbia
le argomentazioni per farlo. Ma chi era questo Bruno Cornacchiola? E soprattutto
qual era la storia della sua vita e perché era diventato così
accanito contro la Madonna? Pensiamo sia molto utile conoscere tutto questo
per comprendere meglio l'ambito e i retroscena su cui si innesta il messaggio
dell'apparizione. Sappiamo che la Madonna non sceglie mai a caso: né
il veggente, né il luogo, né il momento. Tutto fa parte del mosaico
dell'avvenimento. E lo stesso Bruno che racconta. Noi riassumiamo. Nasce nel
1913 sulla Cassia Vecchia, in una stalla, a causa della grande povertà
in cui versano i suoi genitori. Alla sua nascita il padre è in prigione
a Regina Coeli e quando esce con la moglie porta il bambino a battezzare nella
chiesa di S. Agnese. Alla rituale domanda del sacerdote: «Che nome
gli volete mettere?», il papà, ubriaco, risponde: «Giordano
Bruno, come quello che avete ammazzato voi a Campo dei Fiori!». La
risposta del sacerdote è prevedibile: «No, con questo spirito
non è possibile!>> Si accordano allora che il bambino si chiamerà
soltanto Bruno. I genitori sono analfabeti e vivono in miseria. Vanno ad abitare
in una casa vicino all'agglomerato di baracche dove si ritrovavano tutti quelli
che uscivano dalle carceri e le donne di strada. Bruno cresce in questa «schiuma
di Roma», senza religione, perché Dio, Cristo, la Madonna erano
conosciuti soltanto come bestemmie e i bambini crescevano pensando che questi
nomi indicassero porci, cani o asini. In casa Cornacchiola la vita era piena
di liti, bastonate e bestemmie. I bambini più grandi, per poter dormire
la notte, uscivano di casa. Bruno andava a dormire sulle scale della Basilica
di S. Giovanni in Laterano. Una mattina, quando aveva quattordici anni, viene
avvicinato da una signora che, dopo averlo invitato a entrare con lei in chiesa,
gli parla di messa, di comunione, di cresima, e gli promette la pizza. Il ragazzo
la guarda stralunato. Alle domande della signora, meravigliato, risponde: «Beh,
a casa, quando papà non è ubriaco si mangia tutti assieme, qualche
volta pastasciutta, qualche volta minestra, il brodo, risotto o la zuppa, ma
questa cresima e comunione, mamma non l'ha mai cucinata... E poi, cos'è
quest'Ave Maria? Cos'è 'sto Padre nostro?». E così, Bruno,
scalzo, malvestito, pieno di pidocchi, infreddolito, viene accompagnato da un
frate che cercherà di insegnargli un po' di catechismo. Dopo una quarantina
di giorni la solita signora lo porta in un istituto di suore dove Bruno riceve
per la prima volta la comunione. Per la cresima occorreva il padrino: il vescovo
chiama il suo servitore e gli fa fare da padrino. Come ricordo gli danno il
libretto nero delle Massime eterne e una bella corona del rosario, grossa e
nera anch'essa. Bruno ritorna a casa con questi oggetti e con l'incombenza di
chiedere perdono alla mamma per i sassi che le aveva tirato e un morso alla
mano: «Mamma, il prete mi ha detto alla cresima e comunione che ti
dovevo chiedere perdono...». «Ma che cresima e comunione,
che perdono!», e dicendo queste parole gli dà uno spintone,
facendolo cadere per le scale. Bruno allora lancia alla mamma il libretto e
la corona del rosario e se ne va di casa, a Rieti. Qui rimane per un anno e
mezzo con un suo zio, facendo tutti quei lavoretti che gli offrivano. Poi lo
zio lo riporta dai genitori che nel frattempo si erano traslocati al Quadraro.
Due anni dopo, Bruno riceve la cartolina precetto per il servizio militare.
Ha ormai vent'anni, è senza istruzione, senza lavoro e per presentarsi
in caserma si procura un paio di scarpe negli scarichi delle immondizie. Per
legacci un filo di ferro. Viene mandato a Ravenna. Non aveva mai avuto tanto
da mangiare e da vestire come da militare, e lui si dava da fare per farsi strada,
accettando di compiere tutto ciò che gli veniva richiesto e partecipando
a tutte le gare. Eccelle soprattutto nel «tiro a segno», per cui
viene mandato a Roma per una gara nazionale: vince la medaglia d'argento. Al
termine del servizio militare nel 1936, Bruno si sposa con una ragazza che aveva
già conosciuto quando era ancora bambina. Conflitto per le nozze: lui
vuole sposarsi solo civilmente. Era infatti diventato comunista e non voleva
avere a che fare con la Chiesa. Lei invece voleva celebrare il matrimonio religioso.
Giungono a un compromesso: «Va bene, vuol dire che domandiamo al parroco
se ci vuole sposare in sacrestia, però non mi deve chiedere né
confessione, né comunione, né messa». Questa è la
condizione posta da Bruno. E così avviene. Dopo il matrimonio caricano
le loro poche cose in una carriola e vanno ad abitare in una baracca. Bruno
ora è deciso a cambiare vita. Stringe rapporti con i compagni comunisti
del Partito d'Azione che lo convincono ad arruolarsi come radiotelegrafista
volontario all'OMS, sigla usata per indicare l'Operazione Militare in Spagna.
Siamo nel 1936. Viene accettato e in dicembre parte per la Spagna dove infierisce
la guerra civile. Naturalmente le truppe italiane si schierano dalla parte di
Franco e i suoi alleati. Bruno, infiltrato comunista, ha ricevuto dal partito
il compito di sabotare motori e altro materiale in dotazione alle truppe italiane.
A Saragozza è incuriosito da un tedesco che aveva sempre un libro sotto
il braccio. In spagnolo gli chiede: «Perché porti sempre questo
libro sotto il braccio?». «Ma non è un libro, è
la sacra Scrittura, è la Bibbia», fu la risposta. Così,
discorrendo, i due giungono vicino alla piazza antistante il santuario della
Vergine del Pilar. Bruno invita il tedesco a entrare con lui. Quegli rifiuta
energicamente: «Guarda che io in quella sinagoga di Satana non ci
sono mai andato. Io non sono cattolico. A Roma c'è il nostro nemico».
«Il nemico a Roma?», domanda incuriosito Bruno. «E
dimmi chi è, così se io lo incontro, lo ammazzo». «È
il papa che sta a Roma». Si lasciano, ma in Bruno, che già
era avverso alla Chiesa cattolica, era aumentato l'odio contro di essa e contro
tutto ciò che la riguardava. Così, nel 1938, mentre si trova a
Toledo, compra un pugnale e sulla lama incide: «A morte il
papa!». Nel 1939, terminata la guerra, Bruno ritorna a Roma
e trova lavoro come uomo delle pulizie all'ATAC, la società che gestisce
i mezzi di trasporto pubblici di Roma. In seguito, dopo un concorso, diventa
bigliettaio. Risale a questo periodo il suo incontro prima con i protestanti
«Battisti», e poi con gli « Avventisti del settimo giorno».
Questi lo istruiscono per bene e Bruno viene fatto direttore della gioventù
missionaria avventista di Roma e del Lazio. Ma Bruno continua a lavorare anche
con i compagni del Partito d'Azione e in seguito nella lotta clandestina contro
i tedeschi durante l'occupazione. Si adopera anche per salvare gli ebrei braccati.
Con l'arrivo degli americani comincia la libertà politica e religiosa.
Bruno si distingue per il suo impegno e fervore contro la Chiesa, la Vergine,
il papa. Non perde occasione di fare tutti i possibili dispetti ai preti, facendoli
cadere sui mezzi pubblici e rubando loro la borsa. Il 12 aprile 1947, come direttore
della gioventù missionaria, dalla sua setta riceve l'incarico di prepararsi
per parlare in Piazza della Croce Rossa. Il tema è a sua scelta, basta
che sia contro la Chiesa, l'Eucaristia, la Madonna e contro il papa, ovviamente.
Per questo discorso molto impegnativo da tenersi in luogo pubblico occorreva
prepararsi bene, per cui occorreva un luogo tranquillo e la sua casa era il
luogo meno indicato. Allora Bruno propone alla moglie: «Andiamo a
Ostia tutti quanti e lì possiamo stare tranquilli; io mi preparo il discorso
per la festa della Croce Rossa e voi vi divertirete». Ma la moglie
non si sente bene: «No, io non posso venire... Portaci i bambini».
È un sabato quel 12 aprile 1947. Pranzano in fretta e verso le 14 papà
Bruno parte con i suoi tre bambini: Isola, di undici anni, Carlo di sette e
Gianfranco di quattro. Giungono alla stazione Ostiense: proprio in quel momento
stava partendo il treno per Ostia. La delusione è grande. Attendere il
prossimo treno significa perdere tempo prezioso e le giornate non sono ancora
lunghe. «Beh, pazienza», cerca di rimediare Bruno per superare
il momento di sconforto suo e dei bambini, «è andato via il
treno. Io vi avevo promesso di andare a Ostia... Vorrà dire che adesso...
andremo in un altro posto. Prendiamo il tram, andiamo a S. Paolo e lì
prendiamo il 223 per andare fuori Roma». Non potevano infatti aspettare
un altro treno, perché a quei tempi, essendo stata bombardata la linea,
c'era un treno solo che faceva la spola tra Roma e Ostia. Il che voleva dire
dover aspettare più di un'ora... Prima di uscire dalla stazione, papà
Bruno compra un giornalino per i bambini: si trattava del Pupazzetto. Quando
giungono vicino alle Tre Fontane, Bruno dice ai bambini: «Scendiamo
qua perché anche qui ci sono gli alberi e andiamo su dove ci sono i padri
trappisti che danno il cioccolato». «Sì, sì»,
esclama Carlo, «allora andiamo a mangiare il cioccolato!».
«Pure a me 'a sottolata», ripete il piccolino Gianfranco,
che per la sua età smozzica ancora le parole. Così i bambini corrono
felici lungo il viale che conduce all'abbazia dei padri trappisti. Giunti al
vetusto arco medievale, detto di Carlo Magno, si fermano davanti al negozietto
dove si vendono libri religiosi, guide storiche, corone, immagini, medaglie...
e soprattutto l'ottimo « Cioccolato di Roma», prodotto dai padri
trappisti delle Frattocchie e il liquore di eucalipto distillato nella stessa
abbazia delle Tre Fontane. Bruno acquista tre piccole tavolette di cioccolato
per i piccoli, che generosamente ne conservano un pezzettino, avvolto nella
carta stagnola, per la mamma rimasta a casa. Dopo di che i quattro riprendono
il cammino su un viottolo ripido che li porta al boschetto di eucalipti che
sorge proprio davanti al monastero. Papà Bruno non era nuovo di quel
luogo. Lo aveva frequentato da ragazzo quando, mezzo vagabondo e mezzo abbandonato
dai suoi, vi si rifugiava qualche volta per passarvi la notte in qualche grotta
scavata nella pozzolana di quel terreno vulcanico. Si fermano alla prima graziosa
radura che incontrano, un centinaio di metri dalla strada. «Come è
bello qui!», esclamano i bambini, che vivono in uno scantinato. Hanno
portato la palla con la quale avrebbero dovuto giocare sulla spiaggia di Ostia.
Va benissimo anche qui. C'è anche una piccola grotta e i bambini cercano
di entrare subito all'interno, ma il papà lo proibisce loro energicamente.
Da ciò che aveva visto per terra si era infatti reso subito conto che
anche quell'anfratto era divenuto luogo di convegno delle truppe alleate...
Bruno consegna la palla ai bambini perché giochino mentre lui si siede
sopra un masso con la Bibbia, quella famosa Bibbia su cui aveva scritto di suo
pugno: «Questa sarà la morte della Chiesa cattolica,
con il papa in testa!». Con la Bibbia aveva portato anche
un taccuino e una matita per prendere appunti. Comincia la ricerca dei versetti
che gli sembrano più appropriati per confutare i dogmi della Chiesa,
specialmente quelli mariani dell'Immacolata, dell'Assunzione e della Maternità
divina. Mentre inizia a scrivere, giungono i bambini trafelati: «Papà,
abbiamo perso la palla». «Dove l'avete tirata?».
«Dentro i cespugli». «Andate a cercarla!».
I bambini vanno e ritornano: «Papà, eccola la palla, l'abbiamo
trovata». Allora Bruno, prevedendo di essere interrotto in continuazione
nella sua ricerca, dice ai figli: «Beh, sentite, vi insegno io un
gioco, però non mi disturbate più, perché devo prepararmi
questo discorso». Così dicendo, prende la palla e la tira
in direzione di Isola che aveva le spalle rivolte verso la scarpata da dove
erano saliti. Ma la palla, invece di raggiungere Isola, come se avesse un paio
di ali, vola sopra gli alberi e scende verso la strada dove passa l'autobus.
«Stavolta l'ho persa io», dice il papà; «andate
a cercarla». Tutti e tre i bambini scendono alla ricerca. Bruno riprende
anche lui la sua «ricerca», con passione e acredine. Di carattere
violento, inclinato alla controversia perché litigioso per natura e forgiato
così dalle vicende della sua giovinezza, aveva riversato questi atteggiamenti
nell'attività della sua setta, cercando di procurare il maggior numero
di proseliti alla sua «nuova fede». Amante delle disquisizioni,
di parola abbastanza facile, autodidatta, non cessava di predicare, di confutare
e di convincere, scagliandosi con particolare ferocia contro la Chiesa di Roma,
contro la Madonna e il papa, a tal punto che riuscì ad attirare alla
sua setta non pochi suoi colleghi tranvieri. Per la sua puntigliosa serietà,
Bruno si preparava sempre prima di ogni discorso in pubblico. Da qui anche il
suo successo. Al mattino di quel giorno aveva assistito regolarmente al culto
«avventista» nel tempio protestante, dove era uno dei fedeli più
assidui. Alla lettura-commento del sabato, si era particolarmente caricato per
attaccare la «Grande Babilonia», come era chiamata la Chiesa di
Roma che, secondo loro, osava insegnare errori madornali e assurdità
su Maria, ritenendola Immacolata, sempre Vergine e perfino Madre di Dio. Tutte
cose che, secondo loro, la Rivelazione non dice.