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Sito non ufficiale dell'apparizione della Vergine della Rivelazione alla grotta delle Tre Fontane a Roma
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«ERA DE CICCIA!...»

In quel venerdì 30 maggio, Bruno dopo avere lavorato tutto il giorno si sentiva stanco, ma la grotta continuava a esercitare su di lui un fascinoso e irresistibile richiamo. Quella sera si sentiva particolarmente attratto, per cui vi si recò per recitare il rosario. Entra nella grotta e comincia a pregare tutto solo. E la Madonna gli appare facendosi precedere da quella sua luce abbagliante e visibile nello stesso tempo. Questa volta gli affida un messaggio da portare: « Va' dalle mie dilette figlie, le Maestre Pie Filippine, e dì loro che preghino molto per gli increduli e per l'incredulità del loro rione» . Il veggente vuole portare subito a termine l'ambasciata della Vergine ma non conosce queste suore, non saprebbe proprio dove rintracciarle. Mentre scende, incontra una donna alla quale domanda: «Ma che, c'è un convento di suore qui vicino?». «C'è lì la scuola delle Maestre Pie», gli risponde la donna. In effetti, in una di quelle case solitarie, proprio sul ciglio della strada, da trent'anni si erano stabilite queste suore su invito di papa Benedetto XV, aprendo una scuola per i figli dei contadini di quella zona suburbana. Bruno suona alla porta..., ma nessuno risponde. Nonostante i ripetuti tentativi, la casa rimane silenziosa e nessuno apre la porta. Le suore sono ancora sotto il terrore del periodo di occupazione tedesca e del successivo movimento delle truppe alleate, e non si avventurano più a rispondere né tanto meno ad aprire la porta appena è calata la sera. Ora sono le 21. Bruno è costretto a rinunciare per quella sera a trasmettere il messaggio alle religiose e se ne ritorna a casa con l'animo inondato di grande gioia che trasfonde in famiglia: «Jolanda, bambini, ho rivisto la Madonna !». La moglie piange di commozione e i bambini, battendo le mani: «Papà, papà, riportaci alla grotta! La vogliamo rivedere pure noi!». Ma un giorno, andando alla grotta, viene preso da un grande senso di tristezza e di delusione. Da alcuni segni si rende conto che essa è tornata a essere luogo di peccato. Amareggiato, Bruno scrive su un foglio questo appello accorato e lo lascia nella grotta: «Non profanate questa grotta con il peccato impuro! Chi fu creatura infelice nel mondo del peccato, rovesci le sue pene ai piedi della Vergine della Rivelazione, confessi i suoi peccati e beva a questa fonte di misericordia. È Maria la dolce madre di tutti i peccatori. Ecco che cosa ha fatto per me peccatore. Militante nelle file di Satana nella setta protestante avventista, ero nemico della Chiesa e della Vergine. Qui il 12 aprile a me e ai miei bambini è apparsa la Vergine della Rivelazione, dicendomi di rientrare nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, con segni e rivelazioni che lei stessa mi ha manifestato. L'infinita misericordia di Dio ha vinto questo nemico che ora ai suoi piedi implora perdono e pietà. Amatela, Maria è la dolce madre nostra. Amate la Chiesa con i suoi figli! Ella è il manto che ci copre nell'inferno che si scatena nel mondo. Pregate molto e allontanate i vizi della carne. Pregate!». Appende questo foglio a una pietra, all'ingresso della grotta. Non sappiamo quale possa essere stato l'impatto suscitato da questo appello in coloro che si recarono alla grotta per peccare. Di sicuro sappiamo però che quel foglio finì in seguito sul tavolo del commissariato di polizia di S. Paolo. Ecco perché ne possediamo il testo esatto. Il primo giornale che pubblicò la notizia dell'apparizione, sia pure con un punto interrogativo, fu il Giornale d'Italia nella sua rubrica «Ultimissime», del 31 maggio dello stesso anno con titoli e sottotitoli, a quattro colonne. L'articolo cominciava così: «Visione miracolosa alle 3 Fontane? Un pastore protestante vede la Madonna e con la famiglia si converte al cattolicesimo. Una grande folla di popolo, in devoto pellegrinaggio sul luogo del miracolo». Leggendo queste frasi, ci rendiamo conto ancora una volta della fantasia dei giornalisti che, qualche volta, come in questo caso, diventa anticipazione. Infatti per quella data non si poteva ancora parlare di «grande folla di popolo in devoto pellegrinaggio», ma la cosa si verificherà in seguito. Le prime voci erano state portate al giornale da un redattore de Il Popolo, il dottor Guido Mari, che indicava il commissariato di S. Paolo come una buona fonte cui attingere al riguardo. Un giornalista vi si precipitò ed ebbe la prima conferma del fatto. Un brigadiere infatti aveva sequestrato il foglio manoscritto appeso all'esterno della grotta e, dopo averne fatta una copia, aveva spedito l'originale al commissariato di polizia di S. Paolo. Come succede in questi casi, il commissariato provvide subito a fare rintracciare quel Bruno Cornacchiola autore del foglio e lo convocò assieme ai suoi tre figli. L'interrogatorio dei bambini si svolse a lungo e separatamente, perché al funzionario premeva, prima di tutto, appurare se essi fossero stati influenzati dal padre nel dichiarare di avere visto, uno alla volta, la Madonna. Ma , benché egli cercasse di confondere e ingarbugliare la matassa, la risposta singola dei piccoli era sempre la stessa, pronta e limpida. Ciascuno per conto suo aveva «veduto», prima Gianfranco, poi Isola, quindi Carlo e per ultimo il papà, il quale dinanzi alla visione celestiale, caduto in ginocchio, era rimasto in ascolto per oltre un'ora. Verbalizzate queste dichiarazioni, il commissario minacciò severe ammonizioni se Bruno avesse dichiarato il falso. Comunque dopo avere indagato il più possibile, dovette convincersi che il veggente con i figli erano tutti almeno in buona fede e sinceri. Inoltre, apparivano tutti sani di mente, per cui non prese alcun provvedimento negativo, né tanto meno impedì loro di tornare alla grotta. Anzi promise a Bruno che avrebbe mandato alla località Tre Fontane due guardie per un quotidiano servizio di ordine. Il 10 di giugno, il Messaggero, il più grande quotidiano di Roma, pubblicava un lungo articolo su due colonne, adducendo numerosi elementi comprobanti l'impressione che il fatto poteva essere autentico. In modi meno esatti si espressero altri giornali, frammischiando, come sempre, verità con fantastiche elucubrazioni. L'effetto di queste pubblicazioni fu quello di avviare l'affluenza della gente sul luogo dell'apparizione. Alcune donne raccontavano alla grotta quanto avevano udito dalla bocca stessa del «tranviere» con il quale si erano incontrate quando egli veniva a pregare. Naturalmente il passaggio del racconto da una bocca all'altra subiva alterazioni: chi ne aggiungeva del suo, chi ci ricamava sopra a proprio gusto e piacimento, ma la sostanza non cambiava: si trattava della visione di una Bella Signora, con tunica bianca, fascia rosa, manto verde, un libro in mano, i capelli neri e un intenso profumo che alcuni asserivano sprigionarsi tuttora dai frammenti del sasso dove la Vergine si era posata e che erano stati portati a casa per devozione. Il 3 giugno fu posata su quel sasso, nella grotta, una prima piccola statua in gesso della Madonna, a sostituire tutta una collezione di immaginette di vari santi che una devozione poco illuminata di qualcuno vi aveva collocato e che nulla aveva a che fare con l'apparizione della Madonna. Poi fiori e candele ricoprirono quei sassi e la grotta divenne luogo di raccoglimento e di preghiera. Vennero anche i primi malati e si parlò delle prime guarigioni prodigiose. Dopo l'interrogatorio in questura, Bruno e famiglia vennero chiamati anche dal vicariato di Roma. Prima vengono sentiti i bambini, uno alla volta, in giorni diversi, poi la moglie e alla fine il veggente principale. Gli dicono: «Abbiamo interrogato i bambini, sua moglie; vediamo adesso quello che ci racconta lei». «Ma io non ho niente da raccontare». «Ma noi l'abbiamo chiamata perché lei ci faccia conoscere i fatti». «Ah, beh, allora qui è un altro discorso». Bruno espone l'accaduto, al termine del quale gli viene chiesto: «Ma ha pensato se non fosse per caso il demonio?». «Beh, me lo fate pensare voi, però se fosse il demonio ci sarebbe da mettere in chiaro due cose». «Quali cose?». «Se è il demonio che mi ha mandato a voi, le cose sono veramente due: se lui mi ha mandato a voi e voi siete la verità, vuole dire allora che il demonio si è convertito. Se il demonio non si è convertito e mi ha mandato da voi, vuole dire che voi siete d'accordo con lui. Adesso tirate voi la linea e pensateci voi. Se siete nella verità chiudete, se non siete nella verità state zitti, perché la verità è quella che mi ha detto la Vergine , come vi ho spiegato, che ho visto, perché la Vergine mi ha detto di ubbidire alla Chiesa». Dopo avere trascritto la versione di Bruno Cornacchiola, registriamo ora quella di alcuni componenti del vicariato. Ecco che cosa ricorda a distanza di anni mons. Giaquinta, uno dei tre principali incaricati dell'interrogatorio: «Quando è avvenuta l'apparizione alle Tre Fontane, a Roma si è prodotto subito un certo movimento e allora noi - adesso non so, non ricordo se noi abbiamo avuto l'iniziativa oppure il Santo Uffizio ce l'ha indicato - abbiamo chiamato Bruno Cornacchiola che venisse in vicariato a parlare con noi, a parlarci di questo fatto di cui ormai i giornali e la gente parlavano. E così abbiamo incontrato Bruno e i suoi figli per me personalmente, devo distinguere le testimonianze di Bruno da quella di Gianfranco (il piccolo di quattro anni). Bruno ha raccontato un po' tutta la storia, che indubbiamente era molto interessante, molto accattivante, soprattutto per il contrasto tra il prima e il dopo, il Bruno Cornacchiola prima dell'apparizione e dopo l'apparizione. Però tutto questo poteva essere una favola. Quando abbiamo incominciato a interrogare i bambini, ripeto, non ricordo tanto quello che gli altri hanno detto ma quello che il bambino più piccolo, di quattro anni, diceva. Intanto era un problema grosso l'interrogarlo. Premetto che noi eravamo tre: mons. Mattioli che era il giudice, io promotore di giustizia, giustamente detto l'avvocato del diavolo, e poi il cancelliere. Ma l'interrogatorio di un bambino di quattro anni nelle forme richieste non si può fare. E questo bambino infatti non ci stava: correva qua e là. La cosa più ridicola era che mons. Mattioli, il giudice, un uomo ormai di una certa età, mio superiore, gli correva appresso con le caramelle e così, dandogli le caramelle, quando lui si fermava a prenderle per mangiarle, gli faceva qualche domanda e quella che mi è rimasta più impressa e: "Prima che cosa hai visto?" "Ho visto una donna". "E, come era questa donna?". "Bella! "Ma, come noi?". "No, bella, più bella!". Ecco, questo a me ha fatto molto pensare, perché un bambino di quattro anni certe cose o le vive o non le dice, non se le può inventare. Quindi il giudizio mio personale che io, sin da allora, diedi, era di credibilità appunto, soprattutto per la testimonianza ingenua, infantile di quel bambino». Interessantissima anche la deposizione di mons. Cecchi: Io facevo il cancelliere, quindi dovevo scrivere tutto quello che veniva detto dalle persone che venivano interrogate. Il presidente del tribunale Mattioli dettava e io quindi scrivevo soltanto tutto quello che veniva appunto detto nell'interrogazione. E fu interrogato Bruno Cornacchiola, nessuno ricorda quante volte, ma certamente più di una volta, perché si volevano tutti i particolari del caso e poi si era giunti a interrogare i bambini, e interrogare i bambini era un po' un problemaccio, perché farli stare fermi, farli rispondere a tono alle domande che si facevano, cercare di far capire quello che noi volevamo sapere, qualche volta rispondevano un po' così, a vanvera. Insomma: allora si insisteva fino a che i bambini fossero più precisi nel riferire quanto avevano visto. C'era il bambino Gianfranco: "Di' un po': ma com'era quella statua là?". Dice: "Ma, no, macché! Era de ciccia!. Un'espressione così meravigliosa per dire: "Ma che statua! Era proprio di carne ed ossa!". Questa definizione vuol dire che è autentica apparizione».