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Sito non ufficiale dell'apparizione della Vergine della Rivelazione alla grotta delle Tre Fontane a Roma

CARLO CORNACCHIOLA RICORDA

Abbiamo chiesto al maggiore dei figli maschi di Bruno Cornacchiola, Carlo, che con Gianfranco e Isola ebbe la visione della Vergine nella Grotta delle Tre Fontane, a Roma, e che, come i suoi fratelli, in tutto questo tempo ha mantenuto un comportamento di estremo riserbo, di farci rivivere insieme a lui quel lontano giorno e di dirci anche come consideri, a distanza di tempo, l'evento straordinario di cui fu protagonista con gli altri membri della sua famiglia.

A questa seconda domanda egli ha risposto subito affermando che l'Apparizione fu una grazia, una benedizione. Perché? Perché pur tra tante sofferenze ha dato loro la salvezza. "Perciò dobbiamo ricambiare il dono" dice Carlo "e andare avanti nell'apostolato della Chiesa".

Ma cosa ricorda del 12 aprile 1947? Carlo risponde con estrema franchezza e grande onestà di mente e di cuore: 'Quando noi tre fratellini uscimmo di casa con nostro padre, in quel lontano 12 aprile 1947, eravamo felici all'idéa di andare al mare. Eravamo soliti recarci sul litorale romano ed era un divertimento per noi anche camminare lungo la ferrovia per cogliere le more. Quell'anno in aprile faceva già molto caldo, erano spuntati i fiori. Ma quella mattina perdemmo il trenino per Ostia e nostro padre ci condusse alla collina della via Laurentina. Era la prima volta che ci portava così lontano. Quello che seguì lo ricordo perfettamente, almeno fino a un certo punto.

Ci inerpicammo su per la scarpata stando attenti a dove mettevamo i piedi perché c'erano rovi ed erba spinosa. Sembrava una giornata estiva ed eravamo accaldati.

Arrivati in cima, nostro padre, com'era nella sua natura e nelle sue abitudini, subito organizzò le cose: il più piccolo, Gianfranco, sarebbe rimasto sotto l'albero mentre a noi disse: 'Giocate da soli che io ho da fare' e si mise da una parte a scrivere. Noi cominciammo a giocare, ma a un certo punto perdemmo la palla. La prima volta la trovammo subito, la seconda volta non la scovammo più. 'Papà' gridammo 'qui non si trova più la palla, sicuramente è andata a finire di sotto!' Lui fece una prima ricerca e andò bene: ricominciammo a giocare. Intanto s'era stancato di scrivere e venne a giocare con noi. Avevamo due racchette fatte da papà col coltello. Tic tac: papà diede un colpo più forte e mandò la palla ancora più lontano.

Egli, come ho detto, era un grande organizzatore e prima di mettersi nuovamente alla ricerca della palla fece a ciascuno di noi: 'Tu metti- ti qua, tu sta' buono laggiù, tu vieni con me'. Il fianco della collina lungo il quale la pallina doveva essere rotolata era pieno di erba alta e di rovi; e, cerca di qua e cerca di là, la palla non si trova. Papà, per assicurarsi che di sopra tutto andava bene, ogni tanto dava una voce al più piccolo di noi: 'Gianfranco!' E lui rispondeva: 'Sì...'. Nostro padre stava in pensiero perché qualche giorno prima il bambino era caduto da un muretto mentre stava giocando. In realtà un ragazzino gli aveva dato una spinta e lui era andato a finire là dove era caduta una bomba e, tra le macerie, aveva sbattuto contro certi pezzi di metallo e si era fatto due tagli sulla testa, per cui era stato portato all'ospedale dove lo avevano ricucito.

A un certo punto, mentre siamo sulla collina, Gianfranco non risponde più. Noi allora risaliamo e lo vediamo davanti alla grotta.
Da questo punto in poi i miei ricordi si fanno lacunosi, sbiadiscono.
Isola stava cogliendo fiori un po' più in alto. Avevo chiamato Isola per sapere del bambino che aveva l'ordine di non avvicinarsi a quell'anfratto e che invece ora stava là davanti, e Isola scese giù, e cadde in ginocchio anche lei.

Anch'io caddi in ginocchio, ma non me lo ricordo: questo me lo disse mio padre in un secondo momento. Ricordo che papà s'irritò: 'Ma mi state a prendere in giro!' Era la sua reazione a quanto dicevamo stando inginocchiati, e cioè che vedevamo la Bella Signora.

Dopo l'Apparizione, corsi fuori e rimasi come accecato dal sole, poi tornai dentro e vidi il manto verde che svolazzava e se ne andava via e gli corsi appresso e andai a sbattere contro la parete di tufo. Ne ebbi le dita ammaccate. Questo mi è rimasto nel ricordo.

Il mio vuoto di memoria si può riempire, per la cronistoria dell'evento, leggendo i verbali di polizia e del Santo Uffizio redatti quando fummo interrogati tutti e tre, separatamente. Raccontammo tutto, per esempio che la Vergine dapprima era andata da Gianfranco, lo aveva preso e lo aveva portato davanti alla grotta.

È rimasta famosa la frase di mio fratello piccolo il quale disse che la Vergine masticava la gomma americana e faceva i compiti, perché muoveva le labbra mentre parlava ma solo nostro padre la udiva, e aveva il libro in mano.
Noi eravamo testimoni per nostro padre, che era protestante e comunista. Oltre a interrogarci, ci punzecchiavano in una stanza buia, questo me lo ricordo.
Anche quando venne il pittore, il signor Valenti, con la mazzetta dei colori in mano, abbiamo subito da parte sua una specie di interrogatorio, sempre separatamente, perché doveva scegliere i colori dell'abito della Vergine.

I primi tempi tutto era vivido e preciso nella mia mente, poi ho dimenticato, piano piano. Ho dimenticato perché eravamo spensierati, giocavamo, eravamo semplici. Il trauma l'abbiamo avuto quando ci hanno separato dalla famiglia.
In principio fummo messi tutti e tre dalle Maestre Pie Filippini. Poi Isola fu mandata in un collegio di suore a Monte Mario. Noi andavamo periodicamente a trovarla, ma non bastava a consolarci. Io fino al '49 sono stato dalle Filippini, poi sono stato sistemato presso delle suore spagnole.
Nel '50 mi mandarono nel Sacro Convento di San Francesco in Assisi. Ci restai un anno. Indossavo il mantello e col freddo e con la neve andavo su e giù per le strade per recarmi a scuola. Non sono tornato mai più in famiglia. Fino ai diciassette anni sono sempre stato negli istituti.
Isola, ricordo, stette anche presso delle suore francesi in via Principe Amedeo, a Roma.

Io sono di natura forte, ribelle e ho sopportato meglio questa specie di peregrinazione perpetua, sempre diviso dai genitori e dai fratelli. Gianfranco forse è quello che ha sofferto di più. Voglio aggiungere che quello che tu hai visto, mentre hai un'esperienza così straordinaria, ti rimane comunque dentro, anche se non a livello cosciente. Papà un giorno mi disse che quella di non ricordare è stata una grazia, perché se io avessi ricordato quanto ho visto, non avrei avuto più fede. La fede si ha per ciò che non si vede.

Tratto dal libro La vita di Bruno Cornacchiola di Anna Maria Turi ed. Segno