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Sito non ufficiale dell'apparizione della Vergine della Rivelazione alla grotta delle Tre Fontane a Roma |
« TRE FONTANE » « Te beata, o Roma, che fosti consacrata dal sangue glorioso di due Principi: da esso così imporporata superi tutte insieme le bellezze dell'universo ».
Così canta l'inno liturgico nella festa dei santi Apostoli, Pietro e Paolo.
Il primo fu crocefisso con la testa in giù ai piedi del colle Vaticano e sulle sue sacre spoglie sorge la omonima gloriosa Basilica. L'Apostolo delle Genti fu decapitato alle Aquae Salviae, l'attuale Tre Fontane. San Pietro cadde all'inizio della persecuzione, scatenata da Nerone per addossare ai cristiani il grande incendio che devastò Roma nel luglio del 64 d.C.
San Paolo invece tre anni dopo, nell'inverno del 67.
Le sue venerate spoglie sono custodite nella Basilica a lui dedicata, ma il suo martirio avvenne al terzo miglio dall'Urbe, dove sorge adesso la chiesetta di san Paolo, un po' dietro la chiesa abbaziale dei Padri Trappisti alle Tre Fontane.
I fedeli, richiesto ed ottenuto - secondo il diritto romano - il corpo del giustiziato, lo portarono e lo seppellirono nel praedium della pia matrona Lucina, dove ora sorge la Basilica di san Paolo.
Accorso probabilmente nella Capitale per animare i perseguitati, l'Apostolo Paolo vi fu arrestato.
Il suo processo si svolse in due udienze: nella prima, forse alla presenza dello stesso Nerone, l'Apostolo pronunciò una veemente apologia del Cristianesimo. Nessuno ebbe il coraggio di presentarsi a deporre in suo favore.
L'apologia e l'autodifesa fu certo brillante poiché l'udienza fu aggiornata ed egli fu « liberato dalla bocca del leone », come scrive nella sua ultima lettera a Timoteo, nell'autunno del 67.
« Affrettati, cerca di venire prima dell'inverno ». Egli è certo ormai del suo imminente martirio e del suo ingresso nel regno celeste. Ed infatti la seconda udienza ebbe luogo ben presto, dinanzi al sostituto dell'imperatore che aveva lasciato Roma per la Grecia, dove si esibiva qual commediante.
Costui, il terribile Elio, un secondo tiranno, condannò Paolo, che era cittadino romano, alla decapitazione per spada.
Un mattino, il vecchio Apostolo venne condotto da una pattuglia di littori attraverso la porta trigemina passando dinanzi alla Piramide di Caio Cestio. Quindi, piegarono nella via Ostiense che volgeva a sinistra all'incirca nel punto dove ora sorge la Basilica di san Paolo e proseguiva nella deserta landa.
Percorrendo la via Laurentina, la comitiva perviene in circa mezz'ora di cammino nell'umida valletta che prende il nome dalle Aquae Salviae al terzo miglio, dove oggi fra le alte piante di eucalipti montano la guardia le silenziose schiere dei Trappisti nel monastero delle « Tre Fontane ».
Tacito ci apprende (Hist., IV, 11) che la decapitazione fuori le mura era un'antichissima usanza.
Là dunque cadde il suo capo e ammutolì per sempre quella voce che – dopo la visione di Damasco - non aveva pronunziato mai parola che non avesse il sapore di Cristo. Quella voce è perpetuata in parte nelle sue quattordici Lettere tutte emananti il calore dell'ardente amore per Gesù che colmava il suo cuore.
Un'antica tradizione narra che la testa dell'Apostolo, spiccata dal busto, facesse tre balzi per la china leggera e nei tre punti in cui toccò la terra, scaturissero miracolosamente tre zampilli di acqua, tre fontane. Da allora, non si parlò più di Aquae Salviae per indicare quella sacra zona, ma delle Tre Fontane.
La Chiesetta di san Paolo
Sul punto esatto del martirio, ben presto sorse un oratorio.
Il papa Sergio I lo restaurò nel 689. L'antichissimo edificio fu demolito e sostituito dall'attuale chiesetta, fatta costruire su disegno di Giacomo della Porta, dal cardinale Pietro Aldobrandini nel 1599.
Le Tre Fontane, ricoperte da monumentali tabernacoli marmorei, sono allineate ad eguale distanza su tutta la lunghezza della navata.
In basso a ciascuna di esse è scolpita in marmo giallo la testa di san Paolo, lavoro pregíato di Nicolò Cordieri.
L'attuale vestibolo, corrispondente all'antico, è ornato ai due lati da due bassorilievi, donati da Pio IX: rappresentano scultoriamente il martirio di San Pietro e la decapitazione di san Paolo.
Scala Coeli
Ritornando indietro, sulla linea dell'ingresso alla grande chiesa abbaziale, un'altra graziosa chiesetta reca sull'architrave della porta la scritta: Scala Coeli.
Fu costruita nel 1583, su disegno del Vignola, per opera del Cardinale Farnese. Sorge esattamente al posto dell'originario oratorio eretto sull'ossario dei 10.203 soldati cristiani presi dalle varie legioni dell'impero e martirizzati dall'imperatore Diocleziano, dopo averli fatti lavorare come schiavi alla costruzione delle terme che portano il suo nome. Le reliquie dei martiri si conservano nella cripta.
I documenti attestano che questa sia una delle prime chiese del mondo, dedicata alla Madonna.
Narra la tradizione che san Bernardo di Chiaravalle, durante uno dei suoi soggiorni nella Città eterna, mentre celebrava nella cripta, contemplò estatico una scala per la quale le anime del Purgatorio, liberate in virtù del santo Sacrificio, salivano al Cielo.
Da qui derivò alla Chiesetta il nome di Scala Coeli.
Di fronte all'ingresso c'è l'abside con l'altare della SS. Vergine; e nel sovrastante catino un magnifico mosaico - uno dei migliori del 1500 - rappresenta s. Bernardo e s. Zenone da un lato, s. Anastasio e s. Vincenzo martiri dall'altro che contemplano in alto, al centro, la Madonna con in grembo il Bambino Gesù; bellissimi angioletti reggono una corona sul capo della Madonna.
Sanguis martyrum, semen christianorum; sempre per la potente mediazione, per la azione materna della Regina dei Martiri. Chiesa e Abbazia dei SS. Vincenzo e Anastasio
Più recente delle due precedenti per la sua origine, ma più antica di esse, in quanto non ha subito sostanziali rifacimenti dalla sua costruzione (1100 - 1221) ad oggi, è la chiesa abbaziale dei santi martiri Vincenzo ed Anastasio che si erge maestosa, austera e solenne tra gli altri edifici della Abbazia di cui è il centro e come il cuore.
Essa fu edificata secondo le indicazioni di san Bernardo e sul tipo cistercense dal 1140 in poi, quando il locale monastero e l'antico edificio sacro del V sec. furono affidati dal papa Innocenzo II ai membri del nuovo ordine sorto nel 1098. Una ventina di monaci, provenienti dall'Abbazia benedettina di Solesme (Francia), piantavano la croce sul luogo paludoso e deserto di Citeaux (in latino Cistercium, donde il nome di Cistercense), dando inizio ad un movimento di riforma del cenobitismo benedettino.
La loro doveva essere una vita di contemplazione e di penitenza: avrebbero diviso la loro giornata tra il canto delle lodi a Dio nell'ufficio corale, la lettura e la meditazione delle divine Scritture, e i lavori umili e faticosi della coltivazione dei campi e dell'allevamento del bestiame.
San Bernardo di Chiaravalle fu il più illustre animatore e propagatore dell'Ordine: oltre al suo monastero, fondò 65 abbazie, tra le quali quella di sant'Anastasio alle Tre Fontane.
Giustamente il secolo XII fu denominato il secolo cistercense o il secolo di san Bernardo.
E qui ritorna il pensiero al posto eminente che ebbe nella pietà di san Bernardo - ereditata poi dai Cistercensi - la devozione illuminata alla Vergine Santa: con una perfetta visione della grandezza di Maria e dei suoi privilegi.
Dante nella preghiera alla Vergine (Paradiso, c. 33) sintetizza mirabilmente la mariologia del santo, eccelso cantore di Maria: Vergine e Madre di Dio - umile ed alta più che creatura -; Mediatrice onnipotente [di tutte le grazie, per volere dell'Eterno:
- Donna sei tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia ed a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali.
La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. Adorna di ogni virtù in grado eminente: - In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di boutade -'. Insieme ai lavori per l'Abbazia e la Chiesa attuale, i Cistercensi, famosi colonizzatori e dissodatori di boschi e di paludi, intrapresero subito la cultura delle campagne circostanti. La loro tenacia però non riuscì a vincere un ostacolo imprevisto: la febbre che fu detta poi 'malaria'.
I Padri Trappisti
Nel febbraio 1868 questi nuovi religiosi pigliarono possesso dell'Abbazia delle Tre Fontane per il volere del papa Pio IX. Essi non sono che « Cistercensi riformati », denominati comunemente « Trappisti », dalla grande Trappa (Frantoio) dove l'Abate De Rance (sec. XVII) si ritirò per attuare l'austera riforma che divenne tanto famosa. Nel 1794, Pio VI ne sanciva l'erezione in abbazia come centro di tutta la Congregazione dei Trappisti.
Il monaco trappista è effettivamente un professionista della ricerca di Dio; consacra il suo tempo e le sue forze a tale sublime ricerca: tende, con la santità della sua vita, all'unione più stretta con Lui, realizzando il fine per cui siamo creati: la gloria di Dio.
« La vostra vita - scriveva san Paolo ai Colossesi - sia nascosta con Cristo in Dio ».
Il trappista muore ogni giorno un po' più a se stesso; la sua vita crocifissa è tra le più feconde.
E' il motto indicativo di san Benedetto« Si vult quaerere Deum », per chi gli chiedeva di entrare alla sua sequela.
Preghiera e lavoro. Ora et labora.
Lo studio delle materie sacre occupa alcune ore al giorno; quindi, al primo posto, la recita dell'ufficio divino, un'armonia che si diffonde nel raccolto silenzio dell'ampia artistica Chiesa; la Santa Messa celebrata sempre col canto: punto culminante della liturgia della preghiera.
E la giornata si chiude con il canto solenne della Salve Regina, particolarmente cara al Trappista. « Mentre le ombre si allungano all'intorno, dall'alto del coro la Vergine regina di Citeaux, risplende di luce, carezzando i suoi figli d'un dolce sorriso, calmando i dolori del loro esilio, ravvivando la loro speranza ».
Intenerita allora da questa misericordia che nessuna disgrazia indispone, che nessuna preghiera trova impossibile, l'anima del monaco si estasia d'una felicità che non è più di questa terra: « O Clemens, o Pia, o Dulcis Virgo Maria »z.
Lavoro
I Trappisti, fin dal loro arrivo, lavorarono indefessamente per la bonifica dei terreni, per il restauro degli edifici monastici e delle Chiese, per l'assistenza materiale e spirituale della popolazione che tornava a vivere all'ombra del chiostro.
Anche alle Tre Fontane i monaci trappisti si dedicano largamente al lavoro dei campi, oltre ad altri lavori manuali.
Il terreno che la città invadente ha risparmiato tutto attorno alla Abbazia, coltivato a vigneto, frutteto, orto, prato e bosco, è sufficiente a garantire l'indispensabile solitudine e ad impegnare tutte le loro forze fisiche.
E come i loro antichi Padri, anch'essi bagnano volentieri con il loro sudore quelle zolle di terra irrorata dal sangue di tanti martiri animati, al pare di questi, da un medesimo ideale, una medesima causa, lo stesso amore.
Un'oasi di pace nel rumoroso affanno della città.
Il visitatore, che esce dal frastuono della città, prova gli stessi sentimenti di chi ha il privilegio di recarsi in una delle due certose ancora attive in Italia: a Farneta (Lucca) e a Serra San Bruno, in Calabria.
Sentimenti espressi così bene da Evaristo Cardarelli, nei suoi appunti sulla visita alla Certosa di Farneta.
« La Certosa appare da lontano immersa nel verde (esattamente come la Trappa delle Tre Fontane).
« La raggiungo per il viale ombreggiato e mi sento rafforzato dall'aria fresca, dal verde, dal silenzio e dalla pace.
« Trovo ordine, limpidezza, armonia, ampiezza di edifici... La Chiesa è come il cuore della Certosa...
« Essa è davvero il regno del silenzio, dell'ordine, della preghiera, della pace che scende nell'anima e la fa benedire Dio.
« Il monaco che prega molto, solo nella sua casetta e nel coro insieme agli altri, viene trasfigurato dalla preghiera. Entrare e rimanere nel mondo della Certosa (o della Trappa) è un salire in alto, come Gesù che salì sul monte per pregare e trasfigurarsi.
« La preghiera è una forza potente, trasforma il monaco, lo affina, rende il suo volto luminoso e dolce.
« Il monaco ha nel cuore le certezze di Dio e con queste certezze è sempre contento, non si scompone mai; e i suoi giorni volano in attesa dell'eternità.
... «(I Monaci) sono cristiani che sentono e amano del vero amore; sono i veri cristiani ricchi di fede e di carità.
« La loro vita è singolare, unica: si svolge in un ambiente tutto sacro dove non entrano aliti impuri. La Certosa di Farneta (come la Trappa delle Tre Fontane) e un'oasi, un'isola circondata di boschi, di selve... che sono come una trincea, una difesa naturale che tiene lontano il mondo corrotto.
« Deve essere sempre verde, fiorita e piena di frutti per salvare questo povero mondo, per nutrire quanti hanno fame e sete.
... « Certose che si chiudono: segno cattivo. Non si cerca e non si sente Dio. Non si sente l'attrattiva della vita contemplativa ».
L'uomo che vanta scoperte e progressi strabilianti sta perdendo la vera luce.
« Certose e Trappe sono le oasi meravigliose nel deserto del mondo, che tengono lontani i castighi di Dio. Le penitenze e le preghiere continue dei Monaci riparano le colpe degli uomini e implorano la divina misericordia per il mondo cattivo.
« O Signore, lasciaci le Certose. Lasciaci le Trappe! Esse sono la nostra speranza, la nostra salvezza ».
Il visitatore che ha la fortuna di assistere allo svolgimento del culto -- recita e canto dell'ufficio divino, e, ancor più, celebrazione della santa Messa - si renderà perfettamente conto e comprenderà il compianto di quei sacerdoti e di quei fedeli, che hanno ancora nell'animo l'antica liturgia e l'armonia del canto gregoriano.
Scrivevo di recente: « Quel che più dolorosamente ha colpito nello sconvolgimento liturgico post-conciliare, è stato questo mettere in un angolino, diciamo pure in disparte, Gesù presente nell'Ostia consacrata che rimane dopo la celebrazione della santa Messa; questa sostituzione di venerati altari, con al centro il tabernacolo, con dei tavoli spogli su cui celebrare il Santo Sacrificio.
« Il senso cristiano del nostro popolo ne è rimasto penosamente colpito; ma principalmente è da rilevare il continuo doloroso rimpianto di tanti sacerdoti educati (e tanto bene, nei Seminari « pre-conciliaci ») all'esatta comprensione ed attuazione delle cerimonie per la, celebrazione della Santa Messa e al gusto e alla perfetta esecuzione del canto gregoriano.
E' un rimpianto che li accompagnerà fino alla morte; sempre più addolorati nel constatare la sciatteria e la degradazione subentrate nel culto, come in tutti gli altri campi. (Cf. P, Philibert, capp. Un Pretre crie, ne La pensée catholique, n. 197, p. 2128) ».
Le maestre Pie Filippini
A breve distanza, prima dell'ingresso al complesso finora descritto, sempre sulla sinistra di chi esce da Roma, percorrendo la via « Laurentina », sorgono gli edifici, costruiti dai Padri Trappisti, destinati alla scuola per i figli dei contadini della zona, e alle Suore che hanno l'incarico di educarli.
Ecco quanto ne scrive il periodico « La voce delle Tre Fontane », nov. - dic. 1947: « Trenta anni di apostolato tra i figli del popolo »; « Le Maestre Pie Filippini alle Tre Fontane ».
«La sera del 10 ottobre del 1917 un messo del Vaticano invitava la superiora Generale delle Maestre Pie Filippini, suor Rosa Leoni, a recarsi il giorno dopo dal Papa. Ricevutala sorridendo, Benedetto XV chiese alla Suora se « aveva la coscienza a posto » - « Sì, Santità! » - « Anche nei riguardi dei Padri Trappisti? » ribattè il faceto Pontefice.
La Madre Generale capì e sorrise a sua volta. I Trappisti le avevano chiesto alcune suore per la loro scuola dei figli dei contadini nella allor deserta zona delle Tre Fontane, altre maestre non sentendosi in grado di assumere il penoso incarico. Suor Rosa Leoni non aveva aderito alla richiesta perché priva di elementi, ma ad un tale vivo desiderio dello stesso Vicario di Cristo, ideò subito di ritirare delle Suore, qua e là da vari istituti, e così, pochissimi giorni dopo, le Maestre Pie Filippini prendevano possesso della modestissima casa-scuola rurale costruita dai Trappisti per ovviare all'educazione intellettuale ed all'istruzione religiosa di tanti ragazzi, figli di contadini e di operai di quella zona deserta.
Da allora - sono adesso 30 anni - le ottime figlie di S. Lucia Filippini hanno consacrato e consacrano i tesori della loro assoluta dedizione ad un'opera sacrosanta qual'è quella dell'elevazione intellettuale-morale dei ragazzi del popolo. La scuola s'incrementò, i Trappisti costruirono edifici più vasti, sovvenendo anche alle necessità materiali dei poveri bimbi; generazioni di fanciulli e fanciulle si sono succedute durante questi 30 anni nelle nitide aule della « Scuola S. Giuseppe », ed ora moltissimi, divenuti babbi e mamme, seguitano ad inviare i loro figli nella scuola che li educò al sapere ed al bene, scuola che - dal 1917! - è rimasta unica della zona, nessun governo mai essendosi preoccupato di costruirne altre. (Soltanto recentemente è sorta, ma vicino al Forte Ostiense, un'altra scuola, sempre ad opera di Religiose, le Suore di S. Anna).
Il bene compiuto in 30 anni dalle Maestre Pie è incalcolabile: i migliori elementi della zona, le famiglie più unite, gli uomini più onesti, le ragazze più virtuose provengono dalla « Scuola S. Giuseppe » delle Tre Fontane.
Non fa meraviglia che la Vergine SS.ma in una delle apparizioni con le quali operò la conversione di Bruno Cornacchiola, lo abbia incaricato di trasmettere, in un breve messaggio, il Suo compiacimento verso le buone educatrici: « Dì alle Mie dilette Figlie, le Maestre Pie Filippini, che preghino molto per gli increduli e per l'incredulità della zona ».
Figlie dilette di Maria sono certamente le Maestre Pie, che hanno ereditato lo spirito e l'abnegazione della loro Fondatrice, la Maestra Santa, Lucia Filippini.
S. Lucia Filippini, nata a Corneto Tarquinia nel 1672, fondò giovanissima l'Istituto delle « Maestre Pie » per l'insegnamento dei fanciulli, Istituto subito preso a benvolere dal Papa, che lo dichiarò di diritto pontificio, e che dilagò ben presto in tutta Italia. Nel 1910, le Maestre Pie furono invitate negli Stati Uniti, per occuparsi dei figli dei nostri Emigrati. Anche in America
il campo d'azione del loro apostolato divenne immenso: oggi, a distanza di soli 37 anni, già sorgono circa 50 case-scuola, frequentatissime da italiani, . discendenti di italiani e bambini americani con piena soddisfazione delle famiglie e delle autorità Civili ed Ecclesiastiche statunitensi.
S. Lucia Filippini fu beatificata da Pio XI nel giugno 1926 e canonizzata da S.S. Pio XII il 22 giugno 1930.
Alle « buone Maestre » giungano graditi i sentimenti di affetto e di riconoscenza che - per mezzo della Voce delle Tre Fontane - intendono esprimere tutti i numerosissimi ex alunni ed alunne della zona che grazie al loro zelo ed alla generosità dei Padri Trappisti - fondatori e sovvenzionatori della Scuola - può vantare un vero primato di istruzione e di educazione fra tante altre regioni dell'Agro Romano.
Come si vede, l'azione apostolica dei Padri Trappisti, tende sempre ad essere completa, pensando alla diretta formazione cristiana degli abitanti nella loro zona.
Il colle degli eucalipti
Separato soltanto dalla Laurentina, proprio di fronte al complesso abbaziale e alla scuola delle Maestre Pie Filippini, alla destra pertanto di chi muove verso l'esterno della città, si erge un bel colle ammantato di eucalipti. Attualmente si accede anche per una strada comoda financo per i pullmans, colmi di pellegrini, che sostano sull'ampio piazzale, circondato di alberi ed abbellito di oleandri.
Guardando con le spalle alla 'Laurentina' si vedono a sinistra la modesta e linda costruzione che ospita il piccolo convento dei Padri Conventuali e l'annessa cappella aperta al pubblico.
Sullo stesso piano, ma alquanto a destra, è la grotta con la statua della Vergine della Rivelazione.
I balsamici eucalipti che oggi fanno bella mostra di sé, al disopra, all'intorno della Grotta, fino ad ombreggiarla, sono stati piantati, forse per primi, data la prossimità all'Abbazia, sotto la direzione e l'opera del monaco trappista austriaco: Francesco Pfammer. Tra i primi Padri, chiamati dal papa Pio IX a riattivare la vita ormai spenta della secolare Abbazia delle Tre Fontane, a causa della malaria che « aveva fugato » i monaci, il P. Pfammer si dette subito alacremente all'opera di risanamento (1868).
Egli riuscì a prosciugare gli acquitrini malarici dell'intera zona, fino alla valle del Tevere, popolandola con migliaia di esemplari di eucalipti, pianta considerata molto adatta allo scopo, perché assai idrovora.
In tal modo, per l'opera dei Padri Trappisti, la zona fu risanata: all'aria malsana, che allontanava, subentrò l'ombra invitante e il sommesso mormorio delle cime degli eucalipti, il lene soffiare dei venti primaverili, autunnali e del refrigerante ponentino, sollievo dei romani, nelle calde giornate estive.
Ma le iniziative benefiche, per quanto siano dinamiche e numerose, non sono purtroppo sufficienti ad eliminare il male che s'accumula e si sviluppa, quale erba velenosa, nei suburbi della grande città.
Il punto dove l'aperta campagna finisce per congiungersi con una metropoli ha sempre un non so che di melanconico che penetra nell'anima: la natura ridente e sempre inondata di luce, col suo verde che pacifica, si incontra e si confronta con la miseria umana, che soffre nei miseri tuguri, nelle squallide costruzioni di ogni foggia, accanto a mucchi di immondizie...
E' il regno degli ex-uomini, per dirla con M. Gorki; dei naufraghi, abbandonati dalla società, che vivono (ma qual vita!) di espedienti.
E' il regno dei piccoli abbandonati a se stessi; piccoli fuggitivi delle famiglie povere. La strada di periferia, solitaria, aperta alla campagna è il luogo dove meglio respirano; il territorio suburbano loro appartiene...
« Ed è questo uno dei più funesti sintomi sociali, rileva V. Hugo s, perché tutti i delitti dell'uomo hanno origine dal vagabondaggio del fanciullo.
« Si prova uno stringimento di cuore ogni qualvolta c'imbattiamo in uno di questi fanciulli, intorno ai quali sembra veder ondeggiare i fili spezzati della famiglia.
« Non è cosa troppo anormale - purtroppo - questo infrangersi delle famiglie, che si disperdono nelle tenebre senza sapere che cosa accada ai loro figli e che lasciano cadere sulla pubblica via le loro viscere.
« Le città hanno, al pari dei boschi, le loro caverne, dove si cela tutto ciò che posseggono di più malvagio e di più terribile... Covo per covo, quelle delle belve sono da preferirsi a quelle degli uomini...
« Nella miseria i corpi si stringono gli uni accanto agli altri, come nel freddo, ma i cuori si allontanano.
« E i ragazzi non si trovano mai tanto bene quanto in istrada; il lastrico per loro è meno duro del cuore dei loro genitori.
Andando a casa, vi trovano la miseria, e, cosa più triste, neppure un sorriso; il freddo sul focolare, il freddo nei cuori.
Vivono pertanto nell' assenza di affetti, come certe erbe pallide che crescono nelle cantine, prive di luce.
Fra gli animali non avviene mai che la creatura nata per essere una colomba venga tramutata in falco, ciò che sventuratamente si verifica nel genere "uomo" ».
L'infanzia è la nostra primavera; da essa deriva - quasi sempre - e prende forma l'intera esistenza: l'estate con i suoi frutti, l'autunno col nostro declino verso il tramonto.
Primavera preparata e condizionata dall'ambiente: la famiglia, la parrocchia, la società. La famiglia ha senz'altro il primo posto, il più importante, spesso decisivo.
Prima cura di ogni governo dovrebbe essere la protezione, la promozione sociale della famiglia, con l'esigenza dei doveri dei genitori, e il rispetto dei loro diritti.
Chi attenta alla integrità familiare (divorzio, aborto) compie un crimine, che ben presto si rivelerà disastroso per tutta la comunità nazionale.
« L'uomo non ha ricordi più preziosi di quelli della sua prima infanzia, vissuta nella casa dei genitori, specialmente se c'è un po' d'amore e di unione in famiglia ».
Ed invece, spesso, (continuerò col grande scrittore russo): « Quanta crudeltà nelle famiglie... Una stanza dall'aria soffocante; parole cattive e vino... Non è certo questo che ci vuole per l'anima di un fanciullo... Ci vuole il sole, il gioco infantile, il buon esempio, e almeno una goccia d'amore ».
E' proprio necessario che il focolare sia caldo di affetto, di mutua stima e risplenda per l'esempio virtuoso dei genitori.
Su in montagna, per difenderci dalla bufera, dal nevischio pungente, dal gelo che irrigidisce ed uccide, si corre al rifugio: piccola baracca talvolta, rude, spoglia, poverissima, ma riscaldata dal fuoco scoppiettante, presso il quale il sangue ripiglia le sue pulsazioni normali, e tutto l'essere si sente rianimato, senz'alcun timore, fiducioso. E si esce quindi ritemprati e forti, pronti a superare gli ostacoli, a continuare l'ascesa fino alla cima.
La casa ha le medesime funzioni del rifugio alpino, deve rivestire pertanto le stesse caratteristiche. All'esterno spesso c'è lotta, corruzione, la morte dell'anima; ogni uomo deve avere il suo rifugio. Guai a chi passa dalla bufera a un focolare spento, senza fuoco e senza luce! Se il fuoco è l'amore, la luce è l'esempio.
« Ogni giorno, ogni ora e ogni momento, osserva che il tuo aspetto sia dignitoso » - scrive ancora il Dostojevskij -. « Ecco, sei passato accanto a un bambino: eri pieno d'ira, con una cattiva parola sulle labbra, con la collera nell'animo; tu non ti sei accorto del bambino, ma il bambino si è accorto di te, ti ha notato e la tua immagine così brutta e cattiva è forse rimasta improntata nel suo cuore senza difesa.
A tua insaputa, è possibile che tu abbia gettato un seme cattivo nell'anima sua e quel grano cattivo forse vi crescerà, solo perché non ti sei dominato davanti al bimbo, perché non hai saputo educare in te l'amore vigile ed attivo.
Fratelli miei, non abbiate timore del peccato umano; amate l'uomo anche nel suo peccato, perché tale è l'amore divino ed è il culmine dell'amore sulla terra.
Amate specialmente i bambini, perché sono innocenti come angeli, e vivono per la nostra tenerezza, per la purificazione dei nostri cuori, e sono per noi come un'indicazione ».