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Sito non ufficiale dell'apparizione della Vergine della Rivelazione alla grotta delle Tre Fontane a Roma

BRUNO CORNACCHIOLA

Nel 1913, il 9 maggio, in una casetta del suburbio romano, l'attuale Via Metronia, là dove allora finiva la città, nasceva la perso­na che è al centro degli eventi che ci accin­giamo a narrare: Bruno Cornacchiola.

In quel quartiere, come suole, confluiva ogni sorta di gente fuori-legge, e vi cercava un alloggio, un asilo chi dalle province ar­rivava alla capitale col miraggio di un la­voro, di una sistemazione.

La famiglia poverissima del Cornacchiola proveniva da Rieti. Miseria e abbrutimento gravavano su la famigliola: erano sempre botte e bestemmie, scenate da far paura.

Il capofamiglia finiva spesso in prigione; sembrava ormai rassegnato a condurre una tale esistenza alternando il carcere a periodi di libertà; e per dimenticare aveva preso l'abitudine di bere quanto gli era possibile.

Bruno adesso racconta: « Mia madre, po­veretta, finiva certe volte ad uniformarsi al­la condotta di mio padre. Così noi, cinque figli, tre maschi e due femmine, siamo cre­sciuti abbandonati a noi stessi, col cattivo esempio inoltre della gente di Porta Metro­nia, tutt'altro che esemplare. Nella zona, in­fatti, erano frequenti le risse e il sangue, i feriti non meravigliavano i ragazzi abituati a vivere in strada ».

Il nostro piccolo Bruno cercava di stare quanto più poteva per la strada, lontano da casa, edizione aggravata del malessere e malcostume circostanti.

Il padre poco si curava dei figli, consu­mava quello che poteva nella bettola; la ma­dre, dovendo pensare a sostenere la famiglia, era assillata dal lavoro e si curava anch'essa poco dei figli.

Bruno, di sveglia intelligenza, divenne a poco a poco, ben presto « figlio della stra­da »; avendo paura delle botte paterne, an­dava gironzolando e si abituò a non rinca­sare tutte le sere, passando la notte all'aper­to, o dentro qualcuna delle tante grotte del­la periferia di Roma, o nei locali presso la Scala Santa.

« Lasciati completamente in balia di se stessi, questi figliuoli - i tre fratellini e le due sorelle - erano circondati dalla più squallida miseria morale e fisica. La loro casa e la loro chiesa erano il marciapiede e gli angoli più malfamati della capitale. Cre­sciuti nella più grave ignoranza religiosa e morale, il loro linguaggio era il turpiloquio e la parola della delinquenza e della bestem­mia ».

Visitando il Cimitero del Verano, insieme al salesiano P.G. Tomaselli, il Cornacchiola passando vicino ad una cappella, gli confi­dò: « Quante notti della mia giovinezza pas­sai dentro questa Cappella! Mi nascondevo in essa verso il tramonto, prima che il Ci­mitero fosse chiuso, e l'indomani mattina alla riapertura ne uscivo ».

Bruno frequentò soltanto la prima ele­mentare.

Un episodio importante è così riportato dal Tomaselli (p. 8 ss.).

« Una mattina di buon'ora, una signora vide Bruno sdraiato sui gradini presso la Scala Santa (egli si riparava dal freddo con dei grossi cartoni a mo' di coperte). La signora lo scosse e con quella gentilezza cui non è estranea la pietà, gli chiese se aveva fame.

« Ragazzo, cosa fai qui? »

- Dormo.

- E non hai casa per dormire?

- Preferisco dormire fuori, perché mio padre si ubriaca; poi dà coltellate ed entra ed esce dal carcere. Tutti in famiglia sof­friamo per lui.

- Quanti anni hai?

- Quattordici.

- Hai fatto la Comunione?

- Cos'è la Comunione?

- Neppure questo sai?... E tua madre non fa mai la Comunione?

- Mia madre fa la pasta asciutta, la polenta ed altre cose; mai mi ha fatto la Comunione.

La pia signora, Maria Farsetti, tanto buo­na (nella sua casa in piazza san Giovanni in Laterano, si conserva ancora una raccolta piccola cappella, che ispira tanta devozione) s'interessò subito del povero ragazzo!

Ne parlò al Frate passionista, che stava al tavolo con le sacre immagini, all'ingresso della Scala Santa, e si tentò d'insegnargli qualche preghiera e i primi principi della nostra religione.

« Io - dirà il Cornacchiola - fame, ce l'avevo sempre, perché facevo una vita di miseria e di vagabondaggio. Da allora, la signora prese a farmi fare colazione e nello stesso tempo mi faceva istruire nella dottri­na cristiana ».

In quei giorni si teneva presso un Istituto un triduo in preparazione accelerata alla Pri­ma Comunione, per ragazzi che erano usciti dal Carcere dei Minorenni. Anche Bruno vi prese parte e poté ricevere Gesù per la pri­ma volta. Vi ottenne il sacramento della Cresima o Confermazione.

Il Cornacchiola raccontava all'Autore: « I miei compagni di Comunione e di Cresima erano ben vestiti, io ero sporco, malvestito, pieno d'insetti; mi fecero il bagno, ma ero ancora in uno stato da far pena.

Per la Cresima i miei compagni erano vestiti a festa, tenevano il nastro bianco in­torno alla testa ed avevano i genitori vicini. Io ero solo e sprovvisto di tutto.

Il Vescovo celebrante mi domandò: « Non hai padrini tu? »

- Non ho nessuno.

- E non hai i genitori?

- Ma che genitori!...

Accennai qualche cosa e il Vescovo si commosse; incaricò il suo domestico di far da padrino. Mi fu messo temporaneamente il nastro bianco di un altro. Alla fine, ci regalarono un libretto nero « Massime Eter­ne » ed una corona nera.

Ritornai a casa e dissi a mia madre: « Ho fatto la Comunione. Il Prete che mi ha con­fessato mi ha detto: - Domanda perdono a tua madre delle colpe commesse! Perciò ti domando perdono dei pugni e degli schiaffi che ti ho dato, dei morsi e di quello che ti ho fatto, quando ti ruppi il dito, e ti mandai all'ospedale ».

- Ancora pensi a queste cose? - gri­dò mia madre; mi diede un forte calcio; per cui gettati libretto e corona, partii da casa, presi il treno ed andai a Rieti.

Quando viaggiavo non pagavo, perché mi nascondevo sotto i sedili. Quando po­tevo rubavo e la mia unica preoccupazione era di non farmi prendere dai carabinieri ».

Quanto accennato finora lascia capire quale fu la vita del nostro giovane, finché non andò alla leva militare.

Ben poco rimase in lui della preparazio­ne fornitagli in vista della prima Comunione; rimase in lui però quel seme benefico, mortificato dalla sua condotta, ma pronto a ripigliar vigore.

Una pausa al suo viver tormentato fu­rono per Bruno i mesi trascorsi a Ravenna, per il regolare servizio militare. Finalmente l'ordine: la disciplina, un cibo regolare, una branda per dormire. « Al ritorno a Roma, nel 'ghetto' dove abitavo, incontrai la fi­glia della guardia conosciuta da mio padre a Regina Coeli. Anche la sua famiglia era venuta ad abitare nel nostro quartiere. La giovane si chiamava Iolanda. Nel marzo 1936 ci sposammo. Intanto mi ero iscritto al partito di azione, quello di Parri e La Malfa ».

Il tipico risucchio degli ex-uomini nel turbolento e limaccioso corso della dema­gogia, a quell'epoca cospirante nell'ombra.

« I compagni, appena sposato, mi chie­sero di andare a combattere in Spagna, do­ve avrei potuto anche guadagnare qualco­sa ».

 

Nella guerra civile spagnola

La tormenta incomincia nel febbraio del 1936 col trionfo del fronte popolare ed Azana presidente della Repubblica. Il disordine pubblico dei rossi vincitori, men­tre il governo era incapace di frenare gli abusi, se non addirittura connivente; fino alla uccisione del deputato Carlo Sotelo (13 di luglio). Simultaneamente era iniziata la lotta contro la Chiesa.

Il 17 luglio, l'esercito di stanza nel Ma­rocco spagnolo, dove era stato allontanato il generale Franco - amico dell'assassinato Sotelo - si sollevò al comando di questo valoroso comandante, che riuscì quindi a sbarcare e ad unirsi alle altre truppe, solle­vatesi anch'esse per ridare l'ordine alla pa­tria e salvarla dal bolscevismo. In aiuto del fronte marxista si mossero, con uomini e mezzi, la Russia prima di tutto, Francia e Inghilterra; a fianco dell'esercito liberatore, il valido aiuto dell'Italia e della Germania.

La Russia mirava a chiudere in una mor­sa l'Europa e il Mediterraneo.

Dall'Italia partirono volontari, pieni di fede, che emularono i Navarrini, terrore dei rossi, quando attaccavano con in mano le armi e la corona del rosario (i celebri berretti rossi).

Partecipavano alla guerra con l'ideale su­blime di una crociata contro l'accolta di mi­liziani d'ogni paese, i quali manifestarono il loro feroce odio contro inermi sacerdoti, religiosi, suore e pensando, nell'euforia ini­ziale, più a distruggere chiese e conventi, che a combattere le varie colonne dell'eser­cito liberatore.

Ma non tutti i volontari eran lì per tali ideali... Il compagno Bruno, certamente no. « A Saragozza - egli narra - conobbi un tedesco che aveva spesso con sé sotto il braccio, un libro.

- Che romanzo e? Me lo fa leggere? - gli chiesi un giorno, perché cercavo di istruirmi un po' da solo.

- Questo libro è in tedesco; e non e un romanzo - mi rispose -; è la Verità. E' la Bibbia.

- Che roba è? Non ne ho mai sentito parlare... Ed egli incominciò la sua propa­ganda 'biblica' (!); insistente e varia.

Una volta ci trovammo davanti a una grande chiesa, sempre a Saragozza. Seppi che era dedicata alla Vergine del Pilar; il celebre santuario noto anche al di fuori della Spagna.

C'era tanta gente in festa, perché si ce­lebrava l'anniversario di un avvenimento in cui miracolosamente era rimasta salva la chiesa. Durante il bombardamento della città, tre bombe erano cadute: due dinanzi alla statua della Vergine, senza esplodere; e la terza era ancora conficcata inesplosa nel soffitto del Santuario.

Io sentii sorgere dentro di me uno slan­cio: volevo confessarmi e fare la Comunione. (Appare il segno della grazia del Signore, che veglia sulla creatura).

Dissi al mio amico tedesco:

- Basta, non voglio fare più male a nessuno. Entriamo, qui è accaduto anche un miracolo! Tu mi hai parlato bene di Ge­sù Cristo: andiamo in Chiesa e confessia­moci -.

Mi ero ricordato della mia prima Co­munione.

La reazione del mio istruttore fu subi­tanea e violenta:

- Ma che! Sei matto? Ti ho mai par­lato di chiesa cattolica, di preti, di confes­sione o di comunione?

- Veramente no - risposi e aggiunsi seccato, con improvvisa spontaneità:

- Ma di che razza sei? Non hai par­lato di queste cose, ma di Gesù Cristo sì; e allora?

Egli rispose categorico, uscendo per la prima volta allo scoperto, palesando il suo vero essere: non pastore, ma lupo: - Tutto quello che la chiesa fa, è sba­gliato. Io sono protestante!

E giù, tutto un seguito di affermazioni categoriche, con argomentazioni, apparen­temente valide, cercando di fare colpo su di me, addirittura sprovvisto di ogni pre­parazione, ignaro della dottrina e della sto­ria della Chiesa cattolica.

Era una valanga di parole, che mi som­mergeva, mi stordiva: una provocazione ve­ramente in difesa della « verità » biblica (!), che si accompagnava alle accuse di ogni ge­nere contro la Chiesa Cattolica.

A un certo punto, l'interrogazione ad effetto: « - Sai chi è che finanzia e vuole questa guerra in Spagna? E' la bestia dell'Apoca­lisse che sta a Roma: il papa, è la Bibbia stessa che lo dice.

Credimi, per salvare l'umanità, bisogna far spogliare i preti, chiudere tutti i conven­ti, bisogna far togliere il velo alle suore; instaurare la democrazia, finalmente, nella chiesa per abolire il capo assoluto; tutti de­vono presiedere l'assemblea, come facciamo noi protestanti ».

E alla fine, la domanda impegnativa, che spingeva l'ingenuo catecumeno a mostrarsi degno di un tanto maestro: - Sei disposto a combattere per tutto questo? - Punto sul vivo e stordito da tan­ta oratoria non mi tirai indietro: - Certo, sono un combattente! - fu la mia risposta.

Da quell'insieme di accuse, di argomen­tazioni, mi rimase, quasi idea-forza, la sola conclusione che causa unica di ogni male fosse il papa, dipinto a fosche tinte come l'autore di tante infamie. Bastava toglierlo dalla scena per ricondurre la quiete, il be­nessere e scongiurare ogni imminente peri­colo nel mondo.

Questo per me divenne un chiodo fisso; ed incominciai a covare contro il papa un sordo rancore, un odio feroce.

La violenza acquisita e la spregiudicatezza della mia condotta da ragazzo di strada riaf­fiorarono e mi fecero decidere: avrei ammaz­zato il papa. Comprai così un pugnale per uccidere la bestia dell'Apocalisse, una volta tornato a Roma; sulla lama incisi il motto che sintetizzava e consacrava il mio program­ma: « A morte il papa ».

Se il lettore ha mai avuto tra le mani il libro, da me scritto, sulla propaganda di Av­ventisti, Evangelisti o Pentecostali e Testi­moni di Geova, in Italia, non avrà bisogno di altro, per giudicare del fanatismo, della cecità, e delle stupidità, che caratterizzano tale propaganda, condotta con tutti i mezzi.

E vedrà nell'accanimento del povero Cor­nacchiola, appena ritornato dalla Spagna in famiglia, contro le immagini sacre, in parti­colare contro la Vergine Santa, il quadro perfetto di quanto ho descritto, dopo la dolorosa esperienza, durante i miei contrad­dittori e le mie visite a famiglie ingenue e non istruite nella dottrina cattolica.

Il ribelle Lutero, ex monaco agostiniano, fu lui l'ardito inventore dell'identificazione della Bestia persecutrice, descritta nell'Apo­calisse, con il Papa. E' una ridicola « spiri­tosa invenzione ».

L'Apocalisse svolge questo tema: La Chie­sa di Cristo, con a capo il successore di Pie­tro, sarà sempre perseguitata, ma uscirà sem­pre vincitrice e purificata.

Con varie immagini presenta il grande persecutore che allora minacciava l'esistenza medesima della Chiesa: era l'impero romano.

Basti questo accenno per comprendere le assurdità e le stupidaggini di una certa pro­paganda protestantica.

Essa fa leva sull'ignoranza della povera gente, magari assillata dalla miseria, e sen­sibile ai doni...

« Tu sei Pietro - disse Gesù N. Signore al primo degli Apostoli, cui aveva cambia­to il nome: tu sei Simone, ti chiamerai Kefà = pietra, roccia - e su questa Pietra edi­ficherò la mia Chiesa, e le potenze infernali non prevarranno contro di essa. A te, darò le chiavi del Regno dei Cieli (= Regno di Dio = La Chiesa qui in terra, che continua nel cielo); tutto ciò che scioglierai sulla ter­ra, sarà sciolto in cielo, tutto ciò che leghe­rai sulla terra, sarà legato in cielo ». (Ev. di s. Matteo 16, 13-20).

E dopo la Risurrezione, sulle rive del la­go di Genezaret, il Risorto apparso sulla riva, dona a Pietro l'investitura: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore » (Ev. di s. Giovanni 21, 15-17).

 

Fanatismo al ritorno

Bruno Cornacchiola ritornò in Italia, do­po tre anni, nel 1939.

- « Entrando in casa, da mia moglie, ero animato più che dal desiderio di rive­derla dalla smania di dirle che dovevamo ripudiare la chiesa cattolica.

Ero partito per la Spagna, lasciando mia moglie incinta. Era nata nel frattempo una bella bambina. Ebbene, invece di chiedere della piccola Isola, mia prima figlia, inco­minciai a parlare della mia nuova religione.

Iolanda, nel sentire che bisognava lasciare la chiesa, esclamò: - Ma come! Se sei tornato perché la bambina pregava sempre davanti a questo quadro... - e indicava il quadro della Ma­donna di Pompei.

La interruppi: - Bisogna buttar via tutto! Bruciare tutto! -

Gridavo come un invasato. E invece di abbracciare mia moglie e di andare a vede­re Isola che dormiva mi sono messo a sta­nare corone del rosario e libri di preghie­re, sfasciandoli poi e bruciandoli insieme al quadro: un trambusto che svegliò la bam­bina, impaurendola ».

Ma lasciamo Bruno col suo furore di neo­fita antipapista e ritorniamo alla Grotta delle Tre Fontane.